Lorenzini Giancarla – Porto Recanati (MC) – Il riposo
Tratta dal portfolio “La vita è un soffio” invita a riflettere su quanto in fondo la vita sia breve e su quanto il momento del “riposo” arrivi in fretta; invita a fare un bilancio di come stiamo investendo questo dono che ci è stato fatto.

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Mi complimento con l’autore. Questa immagine, a mio parere, è pienamente riuscita perché consente quello che penso sia il contributo di maggior interesse di una fotografia: una visione più intensa e prolungata di quella concessa dall’esperienza diretta. L’inquadratura, e il bianco e nero, contribuiscono inoltre ad estraniare le mani dal contesto, consentendo quindi persino una ricognizione puramente estetica della loro struttura, altrimenti quasi impossibile per via della pietas intrinseca alla scena nel suo complesso.
Fulvio Bortolozzo
Comunemente si pensa che siano gli occhi (lo specchio dell’anima) ed il volto, gli unici elementi che sappiano esprimere le emozioni.
In realtà anche le mani sono potentemente rivelatrici degli stati dell’animo.
Nella foto della Lorenzini, le mani svolgono una duplice funzione:
come referente, mostrano lo stato fisico (impressionante) di un corpo consunto e prossimo alla fine, dove la pelle non riesce a nascondere le ossa.
come segno, la loro posizione rivela rassegnazione, attesa, serenità.
Un esempio di come un particolare sappia dire molto di più di una ripresa di più largo respiro. La fotografia ha questo di potente: porta lo sguardo là dove l’autore vuole che guardiamo e riflettiamo.
Enrico Maddalena
@Enrico Maddalena
Lascerei perdere referenti e segni. La semiologia applicata alle immagini ha da tempo fallito i suoi obiettivi e, aggiungo, meno male.
Te lo dico perché il fatto che questa fotografia di mani riveli “rassegnazione, attesa e serenità” è più che mai una tua proiezione soggettiva, non dimostrabile da alcuna semiotica.
Fulvio Bortolozzo
Impressionate! Avrebbe esclamato la pellicola mentre era impressionata dalla luce riflessa delle due mani scheletriche.
Questa fotografia è molto bella.
Personalmente non sono troppo d’accordo nel dover mostrare il “dolore” per creare un racconto fotografico, il portfolio che sfrutta questa situazione mi fa pensare a un modo un poco ruffiano, similarmente all’uso del bianco e nero, per attirare l’attenzione non sul soggetto ma sul prodotto.
La fotografia deve comunque sempre trovare il coraggio di mostrare tutto senza censure, la verità a volte deve essere cercata, più che nel soggetto raffigurato, nell’onesta intellettuale di chi la pensa e la scatta.
Maurizio Tieghi
@Fulvio Bortolozzo
Tua opinione soggettiva
Un saluto
Enrico
@Enrico
Ricambio il saluto Enrico
Condividono la mia opinione, soggettiva of course, diversi autori che stimo. Uno su tutti: Jean-Marie Schaeffer, “L’immagine precaria”, Clueb 2006.
Fulvio
Tutte le opinioni sono soggettive. “L’opinione è quella forma di conoscenza che non ha validità universale ma solamente individuale e soggettiva”. Infatti è contrapposta a verità!
Ho appena finito di leggere “Una morte dolcissima” di Simone de Beauvoir. Lì le parole raccontano con commozione e intensità lo spegenrsi di una vita.
Ritrovo la stessa commozione e la stessa intensità in questa fotografia.
Come dice Fulvio Bortolozzo, in questa immagine ritroviamo “una visione più intensa e prolungata di quella concessa dall’esperienza diretta”. Ritengo ci voglia non solo tecnica e ispirazione per fare una fotografia come questa, ma anche una buona dose di “coraggio”. Fortunatamente ci sono autori come Giancarla Lorenzini che hanno questa dote. Complimenti sinceri.
Elisabetta Moschetto
Alcune immagini assumo significato solo in un contesto; altre lo hanno anche da sole.
Questa, in particolare, ha certamente più significato in un portfolio.
Non ho nulla contro le immmagini estratte da un portfolio. A mio parere, l’incaricato alla gestione del blog fa bene il suo lavoro. Egli ha l’intento di stimolare la discussione. E’ come se ci sottoponesse ad un continuo esame.
Non siamo deputati alla selezione del vincitore di un concorso, ma a discutere su quello che ci viene proposto.
Quello che conta non è il vincente, nella discussione, ma l’apporto costruttivo critico che ciascuno di noi offre all’autore, ma anche a tutti gli altri, col confronto dei vari punti personali.
Antonino Tutolo
@Domenico
Sì, concordo Domenico. Nessuno ha la verità in tasca, però la semiologia, con il suo reticolo di concetti, lo ha ben preteso nei confronti delle immagini e della fotografia in particolare. Per cui, ribadisco, reputo convenga abbandonarne gli schemi di regionamento e interpretazione. Tutto qui. Poi, chi vuol esser lieto sia ecc. ecc.
Fulvio Bortolozzo
La chiave semi-bassa, priva dei bianchi puri, è’ una scelta consapevole nell’autore? Ha voluto addolcire, con la pietas, la gravità dei segni del tempo?
La semiologia, o semiotica, studia la significazione, la comunicazione dei segni grafici.
Per valutare un’opera dobbiamo tenere presente la storia dell’arte: il variare dei significati e il valore stesso attribuito dall’arte, ai segni, al simbolismo, nel corso dei secoli.
L’arte moderna stravolge il simbolismo, già con l’impressionismo, con l’interesse rivolto al colore piuttosto che al disegno, la prevalenza della soggettività dell’artista, delle sue emozioni. Dopo è successo di tutto, i tagli nella tela di Fontana, le installazioni, l’arte concettuale, ecc.
Ma la fotografia italiana è ancora all’attimalità impressionista, rivisitata nel “momento decisivo” di Bresson.
Condivido il pensiero di Fulvio Bortolozzo. C’é da rimboccarsi le maniche, fino a concepire una fotografia diversa. Ma non si può rifiutare d’un tratto il passato. Non siamo pronti.
Ma possiamo aprire la mente al nuovo.
“Adelante con judicio, Pedro”.
Antonino Tutolo
Le splendide immagini del sito di Maurizio Tieghi, più che il momento decisivo, mi richiamano alla mente qualcosa di simile alla “metafisica” di De Chirico. Nella fotografia ci sono autori che ignorano che le loro opere sono inscrivibili in alcuni periodi dell’arte.
Antonino Tutolo
@Fulvio
Posso concordare con la tua opinione ma è naturale che gli ‘ambienti culturali’ umani prima o poi si omologano… e quel che nel piacere-comodità dell’omologia la diversità viene spesso esclusa e ciò fa percepire un senso di verità agli omologati: così si comincia a votare l’arte ed ad ascludere di tanto in tanto la genialità.
Domenico Brizio
In ogni attività dell’esistenza occorrono regole. Nell’arte molto meno; o affatto.
L’arte è invenzione; talvolta è anche stravolgimento o perfino negazione delle regole.
Ci sono mille immagini che vengono riproposte ricorrentemente; sempre più ignorando il nome di chi le ha ideate. Le osserviamo da qualche parte ed esse entrano nella memoria, influenzando le nostre idee come se derivassero da un nostro parto mentale.
Nella storia della fotografia, e dell’arte in genere, si scoprono analogie della fotografia con le altre arti.
Si scopre che la fotografia ha pagato e sta ancora pagando un grosso tributo alla “documentazione del reale”, dopo aver sollevato da questo fardello, fin dalle sue origini, la pittura e la grafica.
Si scopre che alcune idee, alcune tecniche, appartengono a periodi storici ormai lontani, e che le immagini che da esse promanano sono insospettabilmente catalogabili in precise correnti artistiche lontane nel tempo.
Invece di stupirsi di questo, invece di liberarsi da queste pastoie che ci vincolano all’erba ristretta del nostro giardino, a regole ferree spesso mai codificate ma ricorrenti, ci si avventa contro il mulino a vento del digitale; che è incolpevole, essendo solo uno strumento tecnico potente e veloce, e non un modo originale di pensare.
Antonino Tutolo
@Antonino
Anni in attesa sulla porta, quando finalmente è passata non me ne sono accorta.
Maurizio Tieghi
@Maurizio
L’arte la misura la storia.
Gli artisti riconosciuti in vita sono pochi e fortunati.
Bach era solo un maestro di cappella, il Vate del fascismo non vaticizza da 40 anni, grandi maestri della pittura vendono quadri solo dopo la morte.
Molti di coloro che realizzano grandi prezzi nelle mostre domani cadranno nell’oblio. Dove conta la legge del mercato, e non la cultura, si avviliscono i valori umani.
In Italia il pensiero creativo, la cultura, sono relegati negli zoo. C’é quasi solo un unico pensiero di massa, omologato al massimo ribasso e più che mediocre. I cervelli volano lontano mentre i mediocri si adeguano alle regole fittizie.
Per fortuna, per noi piccoli, quel che conta è fotografare ragionando con la nostra testa; godere dell’arte, senza ambizioni di successo, ma solo per conoscere se stessi. L’arte è l’epressione più alta dell’uomo: comunica emozioni, pensiero, filosofia, storia, cultura, ecc.
Molte delle immagini che abbiamo intorno sono simili ai polli di batteria, venduti, già depezzati, nei supermercati: senza sapore e senza individualità.
Per rompere la mediocrità da supermercato, occorrono grandi iniziative e tanto coraggio. Occorre dare credito ai sognatori e agli idealisti. Solo un grande sognatore, un idealista può pensare di riuscire a mutare la triste e cruda realtà della cultura italiana a noi contemporanea.
Antonino Tutolo
mi fa una tenerezza infinita questo scatto e mi stringe il cuore.
nonstante la spietatezza del concetto della fine della vita quest’immagine, sarà per il bianco e nero morbido, sarà per le pieghe della pelle che si confondono con le lenzuola, io la trovo quasi una ninna nanna struggente e delicata, una carezza, un tocco lieve…
chapeau